Una banca presenta domanda di insinuazione in via ipotecaria al passivo del fallimento di una s.r.l. per la restituzione di una somma mutuata (mutuo fondiario).

Il curatore fallimentare si oppone poiché la somma presa a mutuo sarebbe servita solo a ripianare un debito preesistente a breve termine (scoperto di conto corrente) del mutuatario trasformando il credito della banca da chirografario in privilegiato. Il mutuo sarebbe nullo per difetto di causa o inefficace per simulazione.

Il giudice delegato esclude il credito dal passivo.

La banca propone opposizione al passivo fallimentare.

Il Tribunale con decreto accoglie l'opposizione della banca ma solo in parte ammettendo il credito della banca solo in chirografo, escludendo il privilegio ipotecario. Secondo il Tribunale, l'operazione di mutuo destinata genericamente a "investimenti immobiliari" aveva il diverso scopo di allungare la durata del finanziamento trasformandolo da debito a breve in debito a medio-lungo termine. Poiché le parti conoscevano quale fosse la reale finalità del mutuo, destinato solo a ripianamento del debito esistente, la garanzia ipotecaria era da ritenersi nulla per difetto di causa mentre il mutuo – ossia la dazione di danaro che invece era stata effettivamente voluta dalle parti – doveva considerarsi valido.

La banca ha impugnato la decisione dinanzi alla Suprema Corte con i seguenti argomenti di merito (per quel che qui interessa): 1a) poiché l'ipoteca è accessorio del credito, la validità del mutuo e quindi l'esistenza del credito esclude la nullità della garanzia; 1b) se anche il mutuo fosse qualificato come mutuo di scopo, la violazione dello scopo non può rappresentare causa di nullità dell'ipoteca.

Il fallimento ha impugnato anch'esso in via incidentale la decisione per i seguenti motivi di merito: 2a) poiché è stato violato lo scopo voluto dalle parti nel contratto, l'intero mutuo era da ritenersi nullo e non solo l'ipoteca; 2b) per l'ammissione al passivo la banca avrebbe dovuto far valere un titolo diverso dal mutuo, ossia la restituzione dell'indebito per il capitale erogato alla società sotto forma di scoperto di conto corrente; 2c) la novazione del debito a mezzo del contratto di mutuo è incompatibile con l'ammissione del credito in via chirografaria.

La Suprema Corte (con l'ordinanza della sez. I – 25/01/2021, n. 1517) ha in primo luogo affermato che la violazione dello scopo del mutuo, nei casi di mutuo di scopo appunto, incide sulla validità del contratto solo quando lo scopo è imposto dalla legge mentre se lo scopo è voluto dalle parti, si pone il diverso problema dell'inadempimento e quindi della risoluzione del contratto. Il Tribunale ha dunque errato nel considerare invalida l'ipoteca per violazione dello scopo del mutuo.

Tuttavia, la SC ha concluso che l'operazione con cui la banca eroga una somma mediante la quale estingue un debito sul conto corrente del mutuatario acceso presso la banca stessa realizzando solo un trasferimento meramente ideale del denaro che, in effetti, non entra mai veramente nella disponibilità del debitore, non è configurabile come mutuo.

Difatti, continua la SC, limitarsi a trasformare la scadenza del debito da breve a medio-lungo termine, non è configurabile come mutuo, ma nemmeno è un'operazione meramente contabile per cui la Corte, diversamente qualificando l'operazione, conclude che le parti hanno in effetti stipulato non un mutuo ma un mero "pactum de non petendo ad tempus" cioè una semplice dilazione di pagamento o, se si preferisce, un mero differimento della scadenza.

Poiché la modifica del termine di scadenza di un'obbligazione, di per sé, non costituisce novazione (arg. ex art. 1231 c.c.), il pactum de non petendo ad tempus non è idoneo a fondare una richiesta di ammissione al passivo per la restituzione di somme di danaro. La banca avrebbe dovuto quindi far valere lo scoperto di conto corrente e la relativa prova.

Il principio di diritto applicato dalla Corte è il seguente: "L'operazione di "ripianamento" di debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus".

Questo stesso principio è stato affermato già in due precedenti sentenze (medesimo relatore), tutte recenti (Cass., 5 agosto 2019, n. 20896; Cass., 8 aprile 2020, n. 7740)

Con questa motivazione la Cassazione ha quindi accolto il ricorso incidentale della curatela fallimentare sintetizzato nel punto 2b) di cui sopra e, per l'effetto, ha escluso l'ammissione al passivo del credito della banca, non più ammesso nemmeno in chirografo.

Superato l'orientamento che considerava nulla l'operazione di ripianamento dei debiti a mezzo di mutui fondiari, ora emerge una giurisprudenza che, senza opportuni accorgimenti da parte delle banche nella fase di stipula dei mutui, può inficiare o minacciare la tutela in sede fallimentare del credito bancario.

Ciò è particolarmente vero se si pone mente all'obiter dictum  contenuto nel punto 21 della sentenza in esame dove si legge: "21.- Ciò posto, è appena il caso di precisare che il carattere contabile dell'operazione in discorso si misura precisamente sull'entità del debito del cliente, che è raffigurata sul conto nel momento in cui sopravviene la posta attiva. Se quest'ultima risulta di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero l'operazione ben può allora venire a iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo."

La frase evidenziata suggerisce che persino le operazioni di risanamento e rifinanziamento con l'elargizione di ulteriore provvista possano in parte essere colpite dalla riqualificazione operata dai giudici con gli effetti che in questa sentenza si sono visti. Una ricostruzione giuridica criticabile ma che, provenendo dalla Cassazione, non si può ignorare.

Originally published 27 September, 2021

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